Tempo e libri: le affascinanti lezioni del 1922

Appena iniziato il nuovo anno, non sono stati pochi i supplementi o le segnalazioni culturali che ci hanno ricordato l'importanza letteraria dell'anniversario del secolo che è trascorso dal 1922. James Joyce, TS Eliot, Ludwig Wittgenstein o Virginia Woolf hanno trasformato la letteratura con nuovi stili , estraneo alla linearità del tempo inteso come accumulazione della somma di secondi, minuti, ore... Quest'anno tra le due guerre, in cui si stavano ancora subendo le devastazioni del peggior dopoguerra della storia e in cui i sistemi politici europei erano vittime di caos economico ed emotivo, tutto sembrava un nuovo inizionella sostanza e nella forma.

È stato un cambiamento culturale significativo che ancora apprezziamo – o soffriamo, che ci siano gusti per tutto –. In terra desolata, Eliot (di cui esiste una recente e squisita traduzione di Luis Sanz Irles) lo affermava “Aprile è il mese più crudele” e, forse non a caso, proprio in questo fatidico mese del 1922 si svolse a Parigi uno dei dibattiti più affascinanti del Novecento: quello tenuto dal fisico tedesco, autore delle teorie della relatività ristretta e della relatività generale, Albert Einstein, e il filosofo francese che più sfidò il positivismo logico dell'epoca, Henri Bergson, sulla natura del tempo. L'assoluto, misurabile e indiscutibile del primo contro lo psicologico del secondo, che sfidava le premesse matematiche e si potrebbe meglio definire "durata".

"Il pensiero scientifico era allora benevolo verso Einstein (che applaudiva) e ostile verso Bergson (che definiva 'superstizioso')"

Entrambi erano ebrei ed entrambi hanno sopportato le intemperie di quei decenni in cui, nonostante tutto, sono riusciti a costruirsi dei rifugi in cui sistemarsi e riflettere sugli spunti affascinanti che il tempo offriva loro. Nel suo molto interessante Il fisico e il filosofo (Arpa Editores), Jimena Canales riassume la disputa: “Mentre Einstein cercava coerenza e semplicità, Bergson enfatizzava incoerenze e complessità”. Il pensiero scientifico dell'epoca era benevolo nei confronti di Einstein – da lui applaudito come grande rivelatore del trompe l'oeil – e ostile nei confronti di Bergson – da lui criticato come seguace delle superstizioni. Non era tutto così chiaro allora, un secolo fa, quando la considerazione dell'uno e dell'altro sul tempo segnò una svolta nella storia della conoscenza.

Una frontiera che rimane imprescindibile oggi, mentre la fisica quantistica sconvolge quelle che credevamo le più assolute certezze. Se il XX secolo tende alla chiaroveggenza e alla sicurezza di Einstein, il XXI secolo tende alla speculazione e al dubbio di Bergson. Come descrive Canales, Bergson influenzò anche William Faulkner e molti altri che introdussero interruzioni, colpi di scena e cambi di sceneggiatura in cui il futuro appariva prima del passato e il passato prima del futuro.

Il dibattito iniziato cento anni fa è ben lungi dall'essere risolto, e in questo mistero, come allora, nasce la migliore letteratura. Quanto a me, mi resta appena da dire con Eliot che, quando questa incertezza di quel tempo mi prese, “Leggo, quasi tutta la notte, e d'inverno vado al Sud”.

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