Juan Soto Ivars: Viaggio al centro del libero pensiero

Illustrazione

Carla Lucena

Per raggiungere il centro del libero pensiero, bisogna fare lo stesso movimento di Lidenbrock dentro Viaggio al centro della terra: approfondire. Pensare è intraprendere un percorso tortuoso verso il profondo attraverso la boscaglia, un movimento che si può immaginare come uno scavo o un'indagine. La radice latina dig parla di tirare fuori qualcosa che è nascosto sotto terra; quello di indagare, di rintracciare tracce di impronte di animali per sorprenderli e scovarli. Queste sono due metafore per sognare ad occhi aperti, ed entrambe si riferiscono all'avventura. Penso che sia ovvio che in troppi momenti la particolare avventura di pensare liberamente è stata irta di difficoltà.

I nemici del libero pensiero sono numerosi e antichi quanto il pensiero espresso: non si può parlare di una cosa senza riferirsi all'altra. E non è difficile immaginare il primo uomo ucciso per aver espresso un'idea, sdraiato sulla soglia di una caverna, ucciso da una pietra o da un bastone per aver detto ciò che un altro più forte considerava offensivo. Non possiamo sapere cosa fossero queste parole o in che lingua fossero espresse; inoltre non possiamo immaginare il contenuto del messaggio, ma prima o poi, nella notte dei tempi, qualcuno doveva essere il primo a cascarci per aver espresso il proprio pensiero. Per scavare Per investigare. Per aver rigurgitato, in una lingua morta, ciò che aveva ruminato.

Dove esiste il potere, ci sono sempre persone che vogliono imporre limiti al pensiero degli altri.

Qui, nelle elucubrazioni, appare già chiaramente il primo nemico del libero pensiero. È forse il più famoso, ma non necessariamente il più formidabile. Intendo forza, vale a dire potenza. Dove esiste il potere, ci sono sempre persone che vogliono imporre limiti al pensiero degli altri., perché la presenza dell'interrogatorio è il primo sintomo della debolezza del potere. Il potere, che assume molte forme, spesso afferma di odiare parlare, ma ciò che in realtà odia è pensare. Se reagisce alla parola detta è perché tradisce una corrente di pensiero che scorre senza l'autorizzazione del capo.

Questa paura del potere del libero pensiero spiega l'origine della censura, e questo ci dice JM Coetzee in contro la censura, dove aggiunge che la repressione è più forte quando il potere si sente più debole. In zero e infinitoArthur Koestler scrive il miglior romanzo, superiore anche a 1984 di George Orwell – sull'attacco del potere contro il pensiero, in cui ce lo mostra minuziosamente il processo di sottomissione intellettuale senza ricorrere alla favola. Racconta la storia di Nikolai Rubashov, bolscevico e commissario del popolo del 1917, che cade in una delle purghe staliniste degli anni '30 a cui non crede.

La gerarchia è una convenzione sociale che si indebolisce quando appare la libertà di fare domande.

Il romanzo mostra che un pensiero può essere vessato e schiacciato anche al di là della mera censura. Mostra che un uomo può essere convinto di pensare ciò che non pensa, e che un criterio può resistere, tentare di scappare e fallire senza che nessuno abbia usato la forza o la tortura. Rubashov, che all'inizio sta davanti al suo interrogatore con orgoglio e integrità, pieno di libertà interiore e argomenti per contrastare tutte le trappole, finisce per confessare con assoluta sincerità che sì, che voleva uccidere il numero 1 (Stalin)anche se non ha mai pensato di farlo, e sì, voleva il sabotaggio della sua amata Unione Sovietica, anche se era una bugia.

gli interrogatori di Lo zero si Infinito sono scritti in modo che il lettore accompagni un pensiero sulla via della schiavitù e della scomparsa. E non è un caso che Koestler usi un'interrogazione per raccontarla, perché interrogare è la stessa cosa che domandare, e domandare è il verbo che dà il nome alla Santa Inquisizione. Nel Direttorio di ricerca, manuale pratico per inquisitori del XIV secolo, il frate catalano e inquisitore generale di Girona Nicolau Eimeric spiega il metodo per annullare la capacità di pensare nell'imputato. Eimeric non vuole che l'eretico taccia o finga di essere convinto. Vuole che il ragionamento, la riflessione e l'analisi gli siano assolutamente impossibili. Vuole portarlo all'estremo della sottomissione in cui la credenza eretica viene sconfitta perché non ha una mente su cui appoggiarsi.

Nicolau Eimeric crea per gli inquisitori l'antitesi del dialogo platonico. La discussione con la presunta eresia è solo lodevole, ci dice, se l'autenticità della fede rimane intatta durante tutto il colloquio. Ma raggiunge un curioso estremo nei suoi consigli che vale la pena notare. Non solo scrive che argomentare per saggiare il rigore delle argomentazioni di chi ha fede è peccato mortale. Non solo scrive che suggerire che la fede osserva qualche tipo di errore è anche un peccato mortale. No: va molto oltre, e scrive che è peccato mortale anche insistere su sottigliezze razionali per dimostrare la Trinità o l'Incarnazione; cioè per giustificare la condivisione di fede dell'inquisitore. Eppure, anche concordare con il dogma è un peccato se si arriva a quella conclusione avendo pensato liberamente.

Ne consegue che non è paura della parola scritta o parlata, né della bestemmia o dell'eresia, ma mero libero pensiero che merita vessazioni e castighi per l'indole codarda dell'inquisitore. Lo testimoniano invece l'opera del Sant'Uffizio contro gli eretici protestanti quando diventano una minaccia per l'ortodossia, la paranoia di Stalin diretta contro le ombre di un mantello trotzkista gettato su un muro, o quella dei calvinisti di Ginevra. E questo perché il potere, che occupa i palazzi ei castelli, vive effettivamente nella mente dei sudditi. La gerarchia è una convenzione sociale, come il valore delle cose, e quindi si indebolisce quando appare la libertà di mettere in discussione.

Ma abbiamo detto che il potere non è il più formidabile nemico del libero pensiero, e che bisogna andare oltre. Se ci allontaniamo da questa caverna, sempre verso il basso, raggiungeremo le camere sotterranee del dogma, dell'unanimità e della paura dell'esclusione sociale. Qui il potere non ha più bisogno di esercitare pressioni esplicite perché sono i soggetti che hanno innescato i meccanismi di sottomissione nei confronti di chi è stato troppo originale, il dissidente o il risponditore. Perché non è solo il potere costituito, ma anche le masse a difendere il dogma e l'ortodossia. Lo fanno per fanatismo, compiacenza o per i misteriosi e contorti meccanismi culturali del tabù. Ed è anche qui, per inciso, che ritroviamo la repressione del pensiero tipica delle democrazie, i valori del nostro tempo: una postcensura che non punisce con la legge in mano, con l'esilio o il carcere, ma con il vituperio, la perdita di prestigio e la cancellazione. Una censura non verticale, come quella del passato, ma orizzontale: la polizia vive in ognuno di noi e ci osserva da ogni parte.

Elisabeth Noëlle-Neumann scrive la spirale del silenzio che tutti noi abbiamo un'antenna invisibile installata nel nostro cervello, e che questo ci permette di rilevare quali sono le opinioni maggioritarie – e quindi dominanti – su qualsiasi questione controversa. Poiché tutti vogliamo far parte di un gruppo, essere accettati e non perdere la faccia, siamo intuitivamente molto attenti nell'esprimere ciò che presumiamo ci metterà nei guai. Da animali sociali quali siamo, sappiamo che la collaborazione e l'accettazione sociale sono condizioni essenziali per la nostra sopravvivenza. Questa idea, eventualmente installata nel nostro Software Darwiniano è ciò che ci ha permesso di imporci su specie più forti, più feroci e più ruvide. Ma nel bilancio negativo, non solo inasprisce i limiti della libertà di espressione, ma intacca anche la nostra capacità di pensare liberamente. In ogni pensiero, per quanto individuale si possa presumere, c'è una profonda connessione con il gruppo e la cultura.

Gli individui sono esseri limitati a pensare e senza dialogo o polemica il pensiero diventa una creatura selvaggia

L'arrivo dei social network ha intensificato ciò che Noelle-Neumann ha rilevato fino al grottesco, perché oggi non c'è bisogno di intuizione, poiché ci viene continuamente detto dov'è il limite. La pressione dei social sul pensiero non è solo straziante per le punizioni quotidiane inflitte a chi varca un limite arbitrario e proibito, ma anche perché spinge a esprimere un giudizio su ciò che pensano gli altri in una continua interruzione. Questo significa che siamo tornati nell'era del pensiero unico? La mia opinione è no, non importa quanti analisti lo annuncino con le trombe del giorno del giudizio.

Siamo in un'era molto più complessa di polarizzazione di molti poli; vale a dire in quelli della frattura sociale e della tribalizzazione. In altre parole, al momento, ci sono molti pensieri unici su isole separate dal confronto, e all'interno di ogni isola c'è l'ortodossia. Nella tensione culturale tra queste visioni del mondo antagoniste, ogni tribù cerca di preservare i propri confini. e la sua purezza purificando coloro che si smarriscono: i traditori. In queste circostanze l'esercizio del libero pensiero è forse più difficile che in una dittatura. Quelli, almeno, hanno un chiaro nemico. Ma nello schema della polarizzazione accade spesso che, fuggendo da un'ortodossia, il rimosso finisca per essere accolto in un'altra e lì, per gratitudine, si sottometta volontariamente ai suoi limiti, che aumentano le sue possibilità di critica. Nel mio ultimo libro casa del boiaIllustro questo fenomeno con la storia dei discepoli di Giovanni Calvino che fuggirono dall'Inquisizione e si rifugiarono a Ginevra presso il capo luterano per scoprire lì una nuova Inquisizione.

Ma andiamo avanti, perché c'è ancora un'ultima sfera e un ultimo nemico del libero pensiero: noi stessi. A volte l'idea a cui assumiamo conseguenze disastrose nel caso arrivi alle orecchie degli altri non sarà solo repressa nella voce, ma anche nella testa. E non solo per la paura di essere chiamato cattivo, ma perché, come diceva Molière, c'è soprattutto la paura di essere chiamato ridicolo. Questo accade con idee che sfidano davvero le convenzioni, chiamate politicamente corrette: suonano come sciocchezze, ridicole, ed è da lì che nasce la paura di esprimerle. Confinato, punito senza l'aria fresca per sottoporre l'idea al dialogo, castrato, opinione non riconosciuta atrofizza, come un ficus in una bara, e nel peggiore dei casi si incista e ci fa ammalare. Quindi, in sostanza, al centro del libero pensiero, vediamo che il tuo principale nemico sarai, in determinate circostanze, te stesso.

Gli individui sono esseri limitati a pensare. Senza dialogo e senza polemica, senza ascolto, senza cultura, senza fiducia in referenti condivisi, e senza umiltà di riconoscere un'autorità intellettuale esterna a noi stessi, il pensiero diventa una creatura selvaggia, inarticolata e paranoica. Chi sa che sarà separato dal gruppo da un'intuizione può finire per esserne posseduto, sospettoso di tutto e di tutti, fanatico. I teorici della cospirazione, i negazionisti dell'Olocausto ei pazzi sono, in questo senso, esseri umani in preda alla propria opinione, ai propri pensieri. Ribelli contro ogni autorità intellettuale, sono soggetti di idee che, non avendo trovato la libertà al di fuori di se stessi, hanno finito per portarsela via con la costruzione di un delirio. Sospettosi di ogni idea preconcetta, di ogni convenzione, di ogni consenso, di ogni autorità, troviamo nel cuore stesso del libero pensiero il più sfortunato dei suoi nemici: lo schiavo solitario della propria idea.

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